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Cronologia della Guerra al fronte italiano
Sintesi delle operazioni italiane
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Le Battaglie
Convegno "Dal Piave a Versailles". Padova, aprile 2018
Eventi commemorativi
I piani di guerra contro l’Austria-Ungheria
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<< L’ordine di battaglia
| I piani di guerra contro l'Austria-Ungheria
Prima che l'intricato groviglio della situazione europea portasse l'Italia, con la stipulazione della Triplice Alleanza, a gravitare nell'orbita politica e militare degli Imperi Centrali, un'unica possibilità di guerra esisteva, sia pure allo stadio di semplice ipotesi e di vaga eventualità, ed era localizzata nei soli confronti con l'Austria-Ungheria.
Molteplici ne erano le ragioni; tutte, però, possono sintetizzarsi nell'aggettivazione “storica” che a quelle ragioni va attribuita, perché esse trovavano il loro essenziale fondamento nelle particolari circostanze attraverso le quali si era sviluppato il Risorgimento nazionale e nelle insoddisfazioni e nelle lacune con le quali quel glorioso ed eroico ciclo si era concluso.
L'Italia, però, non era assolutamente in grado di poter pensare a fare una guerra, ed il problema esisteva solo per il suo aspetto difensivo, cioè per l'ipotesi che l'Austria potesse agire contro di noi, per cui si sarebbe stati costretti a subire una guerra. Un simile dubbio o timore, storicamente non illogico, dà la chiave di tutti gli sviluppi della politica italiana dal 1866 in poi e cioè a partire dall'alleanza politica con la Prussia; ed alla sua luce questa politica assume aspetti di vera saggezza, non sempre e non da tutti riconosciuta.
I primi piani operativi italiani erano, dunque, intonati a rigidi criteri difensivi che, in relazione al capriccioso ed irrazionale andamento del confine, individuavano nel corso dell'Adige la linea di schieramento dell'Esercito.
Il Generale Cosenz, primo Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, in un dettagliato ed ap-profondito studio dimostrò, però, come la linea dell'Adige fosse eccessivamente arretrata; e pur tenendo esatto conto della maggior forza dell'Esercito austro-ungarico e del grande vantaggio del quale esso disponeva per la natura montana del confine e per le favorevoli possibilità operative del saliente trentino, fissò una linea più avanzata, la linea del Piave.
Riconosceva la maggiore pericolosità di questa nei confronti di quella dell'Adige, ma ben valeva la pena affrontare un tale pericolo pur di non perdere il beneficio di disporre, per la difesa, della ricca pianura veneta e della ben vasta rete stradale utilissima alla manovra, sottraendo l'una e l'altra alla utilizzazione dell'avversario.
La rete ferroviaria, dell'epoca consentiva l'ef¬fettuazione della radunata al Piave, ma non oltre e, in sede di iniziale progetto operativo, si stabilì lo schieramento di:
un Corpo speciale, sul Tagliamento, a copertura della linea del Piave. Tale Corpo sarebbe stato formato da 1 Divisione di fanteria, 1 Brigata bersaglieri, 2 Divisioni di cavalleria;
un'Armata, la 3ª, dallo Stelvio al Monte Paralba, con fronte a nord, lungo tutto il saliente trentino;
due Armate, la 1ª e la 2ª, sul Piave;
un'Armata, la 4ª, in riserva sul Po, tra Bologna, Ferrara e Modena.
Il piano originario subì successive evoluzioni conseguenti ai graduali sviluppi della rete stradale e ferroviaria e dei lavori di fortificazione attuati sulla fascia confinaria, e fu oggetto di approfonditi studi, di particolari previsioni e di concreti progetti da parte del Generale Tancredi Saletta durante il periodo nel quale egli, per lunghi anni, tenne la carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Venne elevato a tre il numero delle Divisioni di cavalleria destinate alla copertura sul Tagliamento e la 4° Armata, di riserva, ebbe uno schieramento più avanzato, sulla linea Bac- chiglione-Brenta.
A parte qualche ulteriore integrazione, suggerita da occasionali valutazioni, riguardante la dislocazione in Puglia, con compito antisbarco, di un Corpo d'armata, e di una Divisione nella Capitale, lo studio e le conseguenti predisposizioni relative ad un eventuale conflitto contro l'Austria-Ungheria rimasero pressocché immutati fino all'assunzione del Generale Pollio alla carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito (1908).
Il concetto difensivo rimase inalterato; variò, invece, lo schieramento che divenne alquanto più ardito in base alla maggiore efficienza che l'Esercito aveva gradualmente acquistato.
La 1ª e la 4ª Armata dovevano prendere posizione dalle Alpi Giudicarle alla Valle del Piave, attraverso l'Altipiano di Asiago, a difesa del pericoloso saliente trentino.
La 2ª e 3ª Armata si sarebbero schierate al Piave.
Le tre Divisioni di cavalleria avrebbero assicurato la copertura sulla sponda sinistra del Tagliamento.
Due Corpi d'armata avrebbero costituito le forze di riserva dislocandosi nella zona già prevista per la 4ª Armata.
Un Corpo d'armata ed una Divisione avrebbero assolto, a titolo prudenziale, funzioni antisbarco, rispettivamente in Sicilia e nel Lazio.
Una ulteriore elaborazione dei piani previde che, pur senza allontanarsi dal principio della difensiva strategica su tutta la frontiera, la 1ª e la 4ª Armata avrebbero potuto esplicare azioni offensive, limitate al campo tattico, allo scopo di occupare alcune posizioni che sarebbero state più idonee alla sistemazione difensiva ed il cui possesso avrebbe attenuato la pericolosità della minaccia dal saliente trentino alle spalle dello schieramento in piano.
Nel 1912, con la ultimazione dei primi lavori di sbarramento sull'alta Val d'Astico e con la creazione di zone fortificate a carattere permanente sulla linea del Tagliamento, a Codroipo, a Latisana, a Pinzano ed a San Daniele, il piano operativo divenne alquanto più audace e previde una proiezione più avanzata, in pianura, dello schieramento difensivo. Rimase, comunque, fermo il principio che, in caso di guerra con l'Austria-Ungheria, le nostre 4 Armate, costituite da 12 Corpi d'armata dei quali 2 di riserva, si sarebbero schierate a difesa lungo l'andamento: Adamello-Alpi Giudicarie-Altipiano dei 7 Comuni-Alta Val Sugana-Alto Piave-Tagliamento con teste di ponte sulla sinistra del fiume.
Gli studi operativi del nostro Stato Maggiore non erano suggeriti da semplici esigenze precauzionali, bensì derivavano da necessità conseguenti ad una esatta valutazione degli at-teggiamenti inequivocabilmente aggressivi dell'Austria. Questa, infatti, da anni rafforzava la frontiera in corrispondenza del cuneo trentino in territorio italiano e creava munitissime teste di ponte sulla sponda destra dell'Isonzo.
A tali manifestazioni di indubbia concretezza e molto significative, si aggiungevano — come già precedentemente accennato — le altrettanto esplicite forme di ostilità del Generale Conrad che, Capo di Stato Maggiore austriaco dal 1906, non si dava nemmeno la pena di mascherarle. La nostra pianificazione operativa, perciò, procedeva parallelamente ed in stretta correlazione di interdipendenza con il lavoro di potenziamento dell'Esercito, di cui si è già parlato.
La campagna contro la Turchia per la conquista della Libia venne ad esercitare evidenti ed inevitabili interferenze sul vasto lavoro organizzativo del Generale Pollio. E da più parti, e non infrequentemente, a quella campagna si è fatta risalire la causa di qualche impreparazione che si doveva lamentare nell'Esercito all'atto del suo intervento nel conflitto mondiale.
In realtà, la guerra di Libia fu ben più dispendiosa e cruenta di quanto si era previsto, ed assorbì ingenti quantitativi di mezzi e di materiali che depauperarono scorte e disponibilità. Fu giudicata e dichiarata “elemento ritardatore nell'opera di completamento del nostro apparecchio militare”; ed in senso assoluto questa è una innegabile verità. Non si può, però, escludere che, in fondo, essa esercitò anche una funzione rigeneratrice, perché obbligò a reintegri di materiali con l'introduzione di altri più nuovi e meglio rispondenti alle necessità di una guerra moderna; e diede un tempestivo allarme circa i consumi di dotazioni, di munizioni e di materiali di ogni genere i cui quantitativi non era dato di immaginare e di supporre per mancanza di esperienza dovuta al lungo periodo di pace.
In altri termini, la guerra di Libia esercitò influenze negative sulla preparazione, ma fu anche un banco di prova che si dimostrò utilissimo e salutare ai fini delle predisposizioni in materia di dotazioni e dell'addestramento del personale.
Il 1° luglio del 1914, nel pieno fervore della sua instancabile attività, scompariva il Generale Pollio, massimo artefice del radicale potenziamento dell'Esercito e benemerito organizzatore, in tutti i suoi settori, di un organismo militare che alla prova dei fatti, alla più dura prova dei fatti di tutti i tempi, doveva mostrarsi in possesso di una ben salda e resistente costituzione strutturale, idonea a pervenire a rapidi irrobustimenti e a raggiungere in breve tempo alti livelli di efficienza.
Al Pollio succedeva, nella suprema carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, alla vigilia di memorabili eventi la cui grandiosità eccedeva, a quell'epoca, la stessa immaginazione, il Generale Luigi Cadorna, il cui nome rievocava le tappe gloriose del nostro Risorgimento perché in esse il medesimo nome, quello del Padre suo, aveva avuto una risonanza che non si era spenta e non si sarebbe più spenta.
In quello stesso mese di luglio scoppiava, improvviso, in un rapido ed impressionante susseguirsi di situazioni, di ultimatum e di dichiarazioni di guerra, il conflitto che in breve doveva dilagare in modo impressionante e coinvolgere Paesi e Potenze del mondo intero.
Il 1ª agosto l'Italia annunciava la sua neutralità armata, che non poteva lasciare dubbi, sin da quel momento, per tutti i particolari e le esplicite dichiarazioni che l'accompagnarono, circa il suo vero significato di effettiva denuncia del Trattato della Triplice Alleanza.
L'aggressione dell'Austria-Ungheria alla Serbia legittimava pienamente la decisione italiana in quanto escludeva l'esistenza del “casus foederis” il cui fondamento formale e sostanziale era di natura esclusivamente difensiva. Ludendorff stesso ammise ed affermò: “La Triplice è stata stipulata come alleanza difensiva. Essa porta con se tutte le debolezze di una tale caratteristica”.
L'Esercito italiano, appena uscito dalla guerra di Libia, era in fase di iniziale riassetto dopo questa prova che si era dimostrata molto impegnativa, e non ancora aveva raggiunto quello stato di potenza e quel grado di sviluppo cui l'avevano avviato le provvide misure studiate ed attuate dalla sagace operosità del Generale Pollio.
Il nuovo Capo di Stato Maggiore, Cadorna, con energia pari alle sue grandi doti di ingegno e con fervore intonato alla grandiosità degli eventi, intraprese un colossale lavoro di potenziamento dell'Esercito; e sollecitando in tutte le possibili maniere l'adozione di adeguati provvedimenti in sede competente, spronando con ogni mezzo ed in tutti i campi alle azioni concrete, prendendo in mano la situazione con tutta la forza del suo carattere fermissimo, riuscì in brevissimo tempo a raggiungere risultati positivi altamente lusinghieri in vista di un intervento in guerra la cui eventualità non era da escludere ed, anzi, era da considerare, realisticamente, come inevitabile necessità.
L'industria pesante italiana non aveva ancora raggiunto un livello di potenzialità che le consentisse di rispondere alle colossali esigenze di una guerra senza pari, la cui portata cominciava ad apparire evidente fin dai suoi inizi, sui vari scacchieri. Ma furono compiuti sforzi davvero giganteschi e si riuscì a dare all’Esercito uno sviluppo, un armamento ed un equipaggiamento che consentivano di considerare la possibilità di modificare anche sostanzialmente il piano operativo esistente.
Una nuova situazione era venuta a crearsi: l'Austria era impegnata in una guerra che le imponeva il frazionamento delle sue forze su tre fronti russo, serbo ed italiano.
Era questa una premessa che consentiva di abbandonare i vecchi criteri difensivi per adottarne altri di natura offensiva.
Il piano d'operazioni fu, perciò, sottoposto a radicale evoluzione concettuale: non più ab-bandono di territorio italiano all'avversario, ma superamento delle linee del Piave e del Tagliamento ed azione offensiva sull'Isonzo, da Monte Maggiore al mare, con obiettivo strategico di primo tempo la vallata della Sava fino a Lubiana.
Sulla rimanente fronte, operazioni condotte con concezioni di difensiva strategica. Questa non escludeva, comunque, azioni offensive parziali a breve raggio in Cadore ed in Carnia, tendenti, rispettivamente, ad occupare il nodo nevralgico stradale di Dobbiaco recidendovi la ferrovia di Val Pusteria e ad assicurare la creazione di uno sbocco verso la Carinzia. Una volta conseguiti questi risultati, sarebbe stato possibile ottenere anche un successivo coordinamento preciso fra tutte le Armate, precipuamente quelle agenti dal Cadore, dalla Carnia e dalle Alpi Giulie. Lo schieramento veniva, perciò, così predisposto:
1ª Armata: settore Trentino-Adige, dallo Stelvio alla Croda Grande;
4ª Armata: settore Cadore, dalla Croda Grande al M. Peralba;
Zona Carnia (Comando autonomo; poi XII Corpo d'armata alle dipendenze dirette del Comando Supremo): da M. Peralba a M. Maggiore;
2ª Armata: da M. Maggiore a Prepotto, sullo Iudrio (Prealpi Giulie);
3ª Armata (del Carso): da Prepotto al mare.
Alle Armate 2ª e 3ª era devoluto il compito offensivo su tutta la fronte Giulia, classificata fronte principale.
Compito offensivo secondario era affidato alla 4ª Armata nel Cadore ed alle truppe della Carnia.
Difensiva strategica sul rimanente fronte, cui era preposta la 1ª Armata.
Si trattava, indubbiamente, di un piano di operazioni di alto livello strategico, la cui concezione presentava aspetti, caratteri e sostanza propri dei Grandi Condottieri.
Quando, però, si dovette passare alla fase esecutiva, tutta una serie di gravi circostanze, fatalmente coincidenti, creò ostacoli e difficoltà di ogni genere alla normale attuazione delle predisposizioni operative e fece venir meno alcuni presupposti che erano base stessa del concepimento del piano e condizionatori della sua esecuzione e soprattutto della sua riuscita.
Al momento, infatti, dell'intervento in guerra dell'Italia, la cui decisione definitiva era stata adottata solo un mese prima di intraprendere le operazioni, con il Patto di Londra, i Russi, battuti in Galizia, erano costretti ad una pericolosa e profonda ritirata; la Serbia, che pure aveva assai brillantemente esordito in guerra, era in fase di strana ed inesplicabile inattività; la spedizione anglo-francese nei Dardanelli era del tutto fallita.
Veniva, così, a mancare quell'appoggio indiretto che gli Alleati — in particolare i Serbi — avrebbero dovuto dare all'offensiva italiana al momento del suo inizio.
A questo grave inconveniente che agiva assai negativamente sull'esecuzione del piano di operazione del Generale Cadorna, si aggiungeva l'altro, certamente più grave, relativo alla impossibilità di perseguire la sorpresa strategica sulla quale il Capo di Stato Maggiore faceva largo assegnamento: all'insaputa dell'Italia, infatti, il Patto di Londra veniva reso pubblico a Parigi e, quindi, il passaggio dell'Italia dallo stato di neutralità a quello di belligeranza contro l'Austria veniva anticipatamente annunziato, creando difficoltà ed ostacoli insuperabili, capaci di infirmare in partenza tutta la bontà della concezione operativa italiana.