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<< I Piani Operativi | Il primo anno di guerra | ​Il 1916 >>

​​​Quando l'Italia entrò in guerra, il 24 maggio 1915, il piano Cadorna era già inattuabile.


I Russi, duramente battuti in Galizia, erano costretti ad una pericolosa e profonda ritirata - tanto che gli Austriaci f​urono in grado di ritirare da quel fronte alcune divisioni, subito schierate in Italia - ed i Serbi, che pur avevano esordito nel conflitto assai onorevolmente, erano caduti in una fase di strana ed inesplicabile inerzia.


Venuto così a mancare l'indispensabile appoggio indiretto degli Alleati, le operazioni iniziali italiane ebbero lo scopo più modesto di occupare buone posizioni di partenza, idonee ad agevolare gli ulteriori sviluppi del piano operativo iniziale, al quale non si volle subito rinunciare.


Nel settore trentino venne raggiunta la linea Lizzana-Castel Dante-Corna Calda; sugli Altipiani quella dei forti Belvedere-Campo Luserna-Cima Vezzena; in Valsugana furono occupate Borgo e Roncegno; sul fronte giulio furono conquistate la conca di Plezzo e di ​Caporetto, la dorsale tra Isonzo e Judrio, l'orlo orientale della pianura friulana ed il M. Nero.


Le teste di Ponte di Tolmino e di Gorizia rimasero, però, in mano austriaca.


I combattimenti iniziali non riuscirono, dunque, a procurare gli agognati sbocchi offensivi oltre l’Isonzo e le divisioni italiane dovettero segnare il passo di fronte ad una difesa continua, praticamente insuperabile.


Il generale Cadorna ripiegò allora su obiettivi molto più limitati, proponendosi per il momento l’eliminazione delle teste di ponte di Gorizia e di Tolmino, dalle quali l'esercito austro-ungarico avrebbe potuto facilmente muovere all’offensiva.


Il 23 giugno ebbe inizio la battaglia dell’Isonzo che ebbe per obiettivo l’eliminazione della testa di ponte di Gorizia, operando in tre settori: le posizioni di Flava, con obiettivo immediato il M. Kuk; il Carso, per conquistare il San Michele; il fronte della testa di ponte, per impegnare forze nemiche.

Gorizia avrebbe dovuto cadere per avvolgimento da nord e da sud.


La lotta si protrasse violenta ed accanita per quindici giorni consecutivi, ma il tentativo di conquistare il M. Kuk fallì ed il Podgora resisté efficacemente.


Più a sud, passato l’Isonzo, gli Italiani stabilirono soltanto i primi sbocchi offensivi a Sagrado, Fogliano, Redipuglia.


Sarebbe dovuto apparire chiaro, dopo questa prima battaglia, che anche in Italia, come già da mesi in Francia e nelle Fiandre, la continuità del fronte, saturo di truppe, e l’equilibrio tra le forze contrapposte imponevano la guerra di posizione.


Tutti, militari e politici, erano però ancora convinti di poter rompere il fronte nemico e di poter passare alla guerra di movimento. Nessuno aveva allora valutato appieno la superiorità della difesa, imperniata sul binomio reticolato-mitragliatrice.


Dopo soli undici giorni di tregua, infatti, il 18 luglio, i combattimenti ripresero su tutto l’Isonzo. Concettualmente, questa seconda offensiva italiana era la prosecuzione della precedente. Lo sforzo maggiore venne esercitato nel settore della 3a Armata e, per la prima volta, si ebbe un robusto impiego di artiglierie pesanti contro le posizioni del San Michele e di San Martino.


Gli attacchi erano diretti: alla conca di Plezzo, alle teste di ponte di Tolmino e di Gorizia, al Carso. La conca di Plezzo fu in gran parte conquistata; nella zona di Tolmino fu ampliata l’occupazione del Monte Nero e preso il Rombon. Gli Austriaci riuscirono, però, ad impedire ogni progressione in direzione di Tolmino. L’attacco italiano si rivolse, allora verso le alture di Santa Lucia e di Santa Maria, ma non riuscì ad occuparne le vette. Contro Gorizia si tentò di procedere da Piava verso il Monte Santo; ma la violenza dei contrattacchi avversari arginò ogni progresso.


Più a sud, sulle colline di riva destra dell'Isonzo davanti a Gorizia, gli Italiani rimasero aggrappati alle pendici del Sabotino, del Peuma, del Podgora, a strettissimo contatto con le munitissime trincee avversarie, senza riuscire a raggiungerle.


Sul Carso, fu occupata la linea che dalle falde del M. San Michele, per l’orlo orientale del Bosco Cappuccio, giunge a M. Sei Busi.

Dal 18 ottobre al 4 novembre e dal 10 novembre al 2 dicembre si svolsero ancora sul fronte giulio la 3a e la 4a battaglia dell’Isonzo. Queste operazioni, analoghe alle azioni intraprese sul fronte francese, furono decise dal Comando italiano per alleggerire la pressione esercitata dagli Austro-Tedeschi e dai Bulgari sugli eserciti russo e serbo.


Il 6 ottobre era infatti iniziata l’offensiva austro-tedesca contro la Serbia e l’11 la Bulgaria, alleata degli Imperi Centrali, aveva anch’essa attaccato in Macedonia, determinando il collasso dell’esercito serbo. Le due battaglie si possono considerare fasi distinte di un unico atto operativo, tendente alla conquista del medio Isonzo e delle alture ad esso sovrastanti, con obiettivo principale Gorizia. Il un mese e mezzo di lotte sanguinose (116.000 furono le perdite italiane e 70.000 quelle austriache), la 2a e la 3a Armata riuscirono ad intaccare il sistema difensivo avversario, ma non ad infrangerlo.


​Nello stesso tempo gli Italiani svolsero, con discreto successo, una serie di operazioni locali nel Trentino e nel Cadore dove si combatté aspramente per il possesso del Col di Lana.