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Le ultime battaglie


Gli Imperi Centrali con l’offensiva dell’autunno 1917 non erano riusciti a mettere fuori causa l’Italia. Pur cercando di tenere os​tinatamente in rispetto gli avversari, intuivano che il tempo giocava a favore dell’Intesa a causa dell’intervento in guerra degli Stati Uniti e che si imponeva, quindi, per essi una rapida soluzione del conflitto, da ricercarsi con grandi offensive strategiche.

Questa la ragione determinante dell’offensiva austriaca del giugno 1918, preparata con larghezza di mezzi e con ogni accorgimento in campo tecnico e morale, tanto da suscitare in capi e gregari la più assoluta fiducia nel successo.


Il piano operativo austro-ungarico prevedeva: sforzo principale a cavallo del Brenta, tendente a sfondare rapidamente il fronte montano, raggiungere la pianura ed avvolgere le unità impegnate nella difesa del Piave; contemporaneo attacco del Gruppo Armate dell’Isonzo in direzione Treviso-Mestre, con primo obiettivo la linea del Bacchiglione.

Un attacco al Tonale, accompagnato da diversioni nelle Giudicane e in Val Lagarina, doveva precedere le altre operazioni allo scopo di fissare parte delle forze italiane.

Piano operativo razionale, che avrebbe potuto consentire all’esercito austro-ungarico lo sbocco in piano dopo una sola giornata di combattimento, ma l’antagonismo fra Conrad, comandante del settore montano, e Boroevic, comandante del Gruppo di Armate della pianura veneta, ciascuno dei quali intendeva avere l’onore dell’azione decisiva, lo trasformò in due attacchi condotti con forze pressoché equivalenti.


All’alba del 12 giugno si scatenò un violento fuoco di artiglieria sulle posizioni italiane della 7a Armata.

Era l’inizio di quell'azione dimostrativa ad ovest dell’Astico, affidata all’Armata del generale Krobatin (10a), con la quale il Comando austriaco - nei tre giorni previsti dal suo piano operativo - si riprometteva di fissare le forze italiane ad ovest del Garda e di espugnare buone posizioni per future operazioni in Lombardia.

L’efficace fuoco di contropreparazione e di sbarramento delle artiglierie italiane e l’intensa reazione delle mitragliatrici stroncarono, fin dall’inizio, ogni velleità degli Austriaci, che inutilmente attaccarono anche sul fronte del Tonale il giorno successivo.


L’attacco diversivo si risolvette così in un deciso insuccesso.

Alle ore 3 del 15 giugno l’artiglieria austriaca iniziò il bombardamento del fronte dell’Astico al mare, con eccezionale intensità. Ma già si era scatenato, con estrema violenza, il fuoco di contropreparazione italiana.

Furono gli Austro-Ungarici, che avevano ritenuto di sorprendere, a dover subire una grave sorpresa tattica e gli effetti non tardarono a rivelarsi: il bombardamento, pur di grande violenza, si dimostrò subito impreciso e disordinato, e le fanterie, mosse all’attacco fra le 7 e le 8, non dimostraro-no quell’impeto e quel mordente sui quali il Comando austriaco aveva tanto fidato. Nella giornata del 15 le truppe dell’11ª Armata austro-ungarica avrebbero dovuto sfondare le linee italiane, dalla Val d’Assa alla Val Frenzela, ma tutti gli attacchi si infransero invece contro la fascia di resistenza. Eguale sorte toccava agli Austriaci tra Brenta e Piave. Nella zona del Piave, che il Comando austro-ungarico aveva suddiviso in due settori, corrispondenti alle Armate ivi schierate, maggior importanza era stata conferita alla località del Montello, dove si concentrarono quasi tutte le forze della 6a Armata austro-ungarica. Gli Austriaci fecero largo uso di lacrimogeni e di nebbiogeni che, con la caligine del mattino, costituirono una fittissima nebbia di oltre 20 metri di altezza e riuscirono a passare sulla destra del fiume, malgrado la forte reazione della difesa. La breccia aperta permise alle truppe austro-ungariche, nelle prime ore del pomeriggio, di impadronirsi del saliente del Montello, fin quasi al ciglio meridionale di esso, mentre un tentativo di puntare da Nervesa verso i ponti della Priula fu infranto. Verso sera, comunque, l’attacco era già stato contenuto. Nell’altro settore del Piave gli Austriaci, verso le 9, riuscirono a costituire sulla destra del fiume due piccole teste di ponte, a Fagaré ed a Musile. Nel complesso, il primo giorno dell’offensiva austro-ungarica era stato avaro di risultati.


Il giorno 16, l'esercito austro-ungarico tenne sul fronte montano contegno difensivo e sferrò nuovi attacchi sul Piave, intesi ad allargare le teste di ponte. Ma l'uno fu dovunque rintuzzato dalla reazione italiana, pronta ed efficace. Nella giornata del 17, Sull'Altipiano di Asiago gli interventi furono limitati a duelli di artiglieria. Sulla sinistra e al centro del settore del Montello, la lotta sostò; invece, sulla destra, divampò accanita per tutta la giornata. Sul basso Piave un poderoso attacco austriaco, partito da Zenson e dall’ansa di Gonfo, riuscì ad avere ragione della difesa ed a congiungere le due teste di ponte in corrispondenza di Ponte di Piave e S. Dona. Ma la caparbietà con la quale l’esercito austro-ungarico reiterava i suoi attacchi, nella speranza di aprirsi la strada su Treviso-Mestre, doveva servire soltanto a falcidiare sempre più le sue forze. Già la sera del 17, infatti, ogni pressione era cessata sul Grappa, gli attacchi sul Montello erano stati contenuti ed il fronte sul Piave era più che mai saldamente tenuto dai reparti italiani. Il giorno 18, il Comando austriaco, in un estremo sforzo, impegnò le sue riserve in un rinnovato attacco che non conseguì però alcun vantaggio. L’insuccesso riportato dall’esercito imperiale nel settore montano, la sua più che manifesta impossibilità di sfondare nel settore del Piave, la grave usura subita dalle sue forze in quattro giorni di aspra lotta, determinarono la decisione del Comando Supremo italiano di passare, il giorno 19, alla controffensiva.

Nei giorni successivi, infatti, la potenza di fuoco delle artiglierie e lo spirito di sacrificio della fanteria italiana provocarono il definitivo collasso dell’esercito austriaco, che nella notte sul 23 iniziò la ritirata oltre il Piave. L’Esercito Italiano sfruttò il successo con una serie di azioni locali, durate fino al 15 luglio, che permisero non solo di ristabilire completamente in tutti i settori la situazione prece-dente all’offensiva austriaca, ma anche di migliorarla, specie sul basso Piave. La battaglia del Piave, costata agli Austriaci 150.000 uomini e 90.000 agli Italiani, fu una grande vittoria italiana, la prima conseguita nel 1918 da un esercito dell’Intesa e preluse alla fine vittoriosa della guerra.

Per gli Austriaci non si trattò soltanto di una “offensiva non riuscita” ma di una inesorabile sconfitta, che fiaccò le loro residue energie ed infranse le loro ultime speranze di vittoria. Durante l’estate del 1918, il generale Foch rinnovò più volte al generale Diaz la richiesta di effettuare un'offensiva sugli Altipiani e non mancarono pressioni dell’ambasciatore di Francia a Roma sul Governo italiano e di questo sul Comando Supremo. Diaz resistette poiché era assurdo ripetere l'errore commesso con la battaglia dell’Ortigara, mentre era opportuno attendere il momento propizio per impegnare un'offensiva che fosse risolutiva. Dalla metà di luglio il Comando Supremo tedesco aveva perduto l’iniziativa sul teatro di guerra francese e le offensive alleate costringevano l’esercito germanico ad effettuare successive ritirate, senza però perdere la sua compattezza.


Fra il 16 e il 19 settembre l’“Armée d’Orient”, della quale faceva parte la 35a divisione italiana, fece crollare il fronte tedesco-bulgaro nei Balcani e il 29 settembre fu concluso l'armistizio fra gli Alleati e la Bulgaria. Il Comando Supremo italiano vide allora la possibilità di rompere il fronte avversario in corrispondenza della zona di sutura delle due Armate austriache (5a e 6a) del Piave, agendo a cavaliere della direttrice di Vittorio Veneto, centro logistico di grande importanza sulla linea di operazioni della 6a Armata austro-ungarica. Effettuata la rottura e separate le due armate avversarie, le forze italiane, puntando su Feltre, avrebbero aggirato le truppe austriache attestate al Grappa ed avrebbero dato sviluppo alla manovra dirigendosi sia per la Val Sugana su Trento, sia verso il Cadore. Finalmente una vera battaglia di sfondamento! Gabriele D’Annunzio, con immagine bellissima, la definì “il cuneo romano che taglia il fronte avversario in due tronconi convulsi”. La manovra avrebbe dovuto avere inizio il giorno 16 ottobre, ma la piena del Piave ne fece spostare la data al 24.

Questo lieve ritardo permise di perfezionare il piano d’operazione; anche la 4a Armata del Grappa ebbe ordine di agire offensivamente concorrendo alla azione principale affidata all’8a, distogliendo l’attenzione nemica verso il settore di pianura dove si prevedeva di effettuare l’azione principale.

La battaglia fu iniziata pertanto proprio dalla 4a Armata, che protrasse i suoi attacchi sino al giorno 27, senza peraltro ottenere alcun successo, se non quello di logorare le forze austro-ungariche, già a corto di rifornimenti.


Nella notte tra il 26 ed il 27, l’8a Armata, la 12a Armata - comandata dal generale francese Graziani, era costituita da 1 divisione francese e 3 italiane - e la 10a - comandata dal generale inglese Cavan, era costituita da 2 divisioni inglesi e da 2 italiane - gettarono i ponti sul Piave e passarono il fiume. L’irruenza dell’attacco costrinse il Comando della 6a Armata austro-ungarica ad ordinare, il giorno 28, la ritirata sul Monticano.


Il giorno 30, l’8a Armata occupò, con le proprie avanguardie, Vittorio Veneto; la 12a Armata superò la stretta di Quero verso Feltre; la 10a varcò il Monticano in direzione di Sacile. Nella serata dello stesso giorno si presentava al Comando Supremo italiano il generale austriaco Weber per trattare la resa. Le trattative però non furono spedite perché il Governo austro-ungarico non voleva firmare una capitolazione completa, ma solo una tregua d’armi.


Durante la discussione le operazioni continuarono ed il 31 le truppe austriache del Grappa cedettero, infine, all’irruenza dell’azione della 4a Armata che mosse allora su Arsiè; la 12a Armata si diresse su Feltre; l’8a sboccò nella valle del Piave a Ponte delle Alpi; la 10a affiancata dalla 3a raggiunse la Livenza e la cavalleria il Tagliamento; si mise in moto anche la 6a Armata lungo la Val Sugana per intercettarvi la rotabile e dirigersi verso Trento-Egna.


Il 3 novembre la 1a Armata entrò a Trento, tutte le altre Armate raggiunsero i rispettivi obiettivi e, mentre la cavalleria si spingeva fino a Palmanova, Udine, Stazione per la Carnia e Gradisca, un apposito distaccamento sbarcò a Trieste.


La sera del 3 novembre fu finalmente concluso l’armistizio di Villa Giusti: alle ore 15 del 4 novembre 1918 vennero sospese le ostilità su tutto il fronte italiano.

Con la battaglia di Vittorio Veneto l’Italia non sconfisse soltanto “uno dei più potenti eserciti del mondo”, ma provocò il crollo totale dell’impero degli Asburgo.

​Lo sforzo italiano fu immenso, ma il ciclo storico del Risorgimento italico si concludeva infine con la scomparsa del secolare nemico e con il raggiungimento dei confini naturali.